Le metamorfosi del frutto proibito
Il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male nell’arte figurativa
Sebbene spesso le storie senza tempo che ci arrivano dal nostro più remoto passato appaiano in molti casi piuttosto evasive rispetto a punti specifici di ciò che raccontano, la loro ripresa successiva tende spesso a voler superare questa evasività originaria. La ragione di questa tendenza è forse da ricercarsi in una concomitanza di fattori che orientano proprio in questa direzione la ripresa del racconto: l’esigenza cioè di rendere quest’ultimo più immediatamente comprensibile da parte di chi lo ascolta; il bisogno di “attualizzarlo” in una prospettiva volta a coinvolgere l’ascoltatore fino a fargli rivivere in prima persona la storia narrata; la necessità infine di soddisfare una curiosità suscitata dal racconto stesso e dalla sua capacità di stimolare una puntualizzazione di dettagli spesso invece lasciati nel vago. E sarà proprio questa tendenza a risultare profondamente enfatizzata soprattutto laddove un racconto intenderà essere proposto in chiave figurativa.
Emblematico in questa prospettiva risulta il racconto legato a quello che la Bibbia chiama semplicemente frutto dell’«albero della conoscenza del bene e del male» (Gen 2, 17) che Elohim vieta all’uomo, pena la morte, di mangiare. Ovviamente questo frutto nella storia in questione non ci viene affatto descritto, salvo precisarci che esso, agli occhi di Eva, apparve «buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza» (Gen 3, 6). Tuttavia, proprio questo non precisare di che frutto si tratti, negandoci addirittura di sapere quale fossero la sua forma e il suo colore, se a noi lascia semplicemente una curiosità insoddisfatta, per gli artisti che dovettero rappresentare questo specifico momento della storia biblica costituì un serio problema: che forma e che colore dare al frutto in questione? E, ancor peggio, come rappresentare l’albero da cui questo stesso frutto era stato prodotto?
Occorre innanzitutto registrare il fatto che, in almeno alcune delle primissime immagini cristiane relative alla scena in questione, non manca affatto il tentativo di rispettare il testo biblico, sottraendosi all’esigenza di dare all’albero e al frutto un’identità specifica. È il caso ad esempio della pittura murale del IV secolo rinvenibile nelle catacombe di San Marcellino e volta a rappresentare proprio il momento del “peccato originale”. In essa si vedono Adamo ed Eva nudi, simmetricamente posti a fianco di un albero di fatto non identificabile. E certamente, per la tipologia del suo fogliame, del tutto irriconducibile sia al fico che al melo. Un’irriducibilità, peraltro, quasi rimarcata dal fatto che invece, coerentemente col racconto biblico, Adamo ed Eva si coprono le rispettive parti genitali proprio con delle foglie di fico. Ad essere così reso del tutto evidente è come la forma precisa di esse nulla abbia a che vedere con quella imprecisabile – almeno per quanto lo stato del dipinto ci consente di scorgere – delle foglie dell’albero.
A rappresentare come un fico il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male è invece, nell’affresco del “peccato originale” dipinto agli inizi del Quattrocento nella Cappella Brancacci di Firenze, Masolino da Panicale. A confermare che il frutto che Eva sta per mangiare sia proprio il fico, oltre che la forma e il colore del frutto stesso, è anche il fogliame dell’albero ai piedi del quale la coppia dei progenitori biblici dell’umanità viene collocata. Il frutto di quest’albero, che ormai Eva tiene tra le dita e sta per mangiare non senza che Adamo sembri dare un suo consenso, non ha ancora evidenziato la sua aura nefasta, destinata a cambiare per sempre il futuro delle donne e degli uomini dei secoli a venire. Per questo, contrariamente a quanto accade in molti altri dipinti, il rapporto di Adamo ed Eva col loro corpo è assolutamente sereno: i due progenitori sono infatti nudi, non hanno le parti genitali coperte da foglie di sorta, né i loro visi tradiscono un senso di vergogna. E questo proprio perché il frutto proibito, in questo caso il fico, non è ancora stato mangiato.
Che il frutto dell’albero del bene e del male vada identificato con la classica mela appare invece palese nell’olio su nell’olio su tavola – a dipinto da Lucas Cranach il Vecchio nel 1528 e attualmente conservato alla Galleria degli Uffizi – dedicato proprio alla raffigurazione di Adamo ed Eva nel momento stesso in cui si accingono a mangiare il frutto proibito. Nell’opera, mentre il serpente avvinghiato al ramo di un albero dal quale pendono delle rosse mele sembra seguire con attenzione l’esito del suo dialogo con Eva, quest’ultima con la mano destra porge il frutto ad Adamo. Da notarsi è la curiosa posizione dell’uomo che, guardando verso il frutto offertogli dalla donna, con la mano destra sembra grattarsi la nuca, esprimendo con questo gesto e con il suo sguardo una sorta di perplessità nel procedere oltre. Cosa che però puntualmente farà, come rimarcano i due rami – le cui foglie evocano in questo caso il melo, anziché il fico – con cui i due progenitori si coprono le parti genitali. Confermando in questo modo che non solo la mela verrà mangiata, ma anche che questo gesto avrà ricadute negative sullo stato di perfezione, espresso dai loro stessi corpi nudi, in cui essi fino ad allora erano vissuti.
Piergiuseppe Bernardi – © raccontamiancora.it