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All’inizio fu Caos

Il tratto informe del mondo alla sua origine nel racconto delle mitologie antiche

L’inizio del mondo, nei miti elaborati dalle civiltà antiche, sembra radicarsi piuttosto unanimemente nel caos. Certo, far coincidere l’inizio col caos stesso, trasformando quest’ultimo nel protagonista dell’insorgere del reale sarebbe fuorviante. E questo perché l’inizio, in questi stessi miti, sembra infatti perlopiù coincidere col materializzarsi di un ordine imposto al caos primordiale, strappato così il suo magmatico disordine originario. Sarebbe tuttavia altrettanto fuorviante avvolgere questo caos nel silenzio, cancellandone ogni traccia e silenziando del tutto il già flebile risuonare del suo costituirsi originario. O, peggio ancora, annientarne persino l’eco con il suono potente della sinfonia che da esso, in modo forse inspiegabile, è venuta via via prendendo forma. Può essere dunque utile, per evitare questi esiti, ripercorrere almeno sinteticamente alcuni miti antichi, evidenziando quanto in essi caos giocasse un ruolo di primo piano.

Emblematico di questo costituirsi del caos come orizzonte primordiale dell’inizio è in primo luogo il mondo egizio. Negli antichi Testi delle Piramidi, risalenti al terzo millennio avanti Cristo, trova posto un racconto di creazione nel quale proprio caos è affermato come l’informe forma originaria dell’universo. Caos dunque viene pensato come una massa liquida così priva di movimento da non poter giocare alcun ruolo attivo. E sebbene in essa si celino due principi divini l’uno maschile e l’altro femminile, Nun e Nunet, nemmeno loro riescono a strappare questa massa d’acqua alla sua sterile infertilità. Proprio nel loro orizzonte e con la loro complicità insorgerà però Atum, il dio solare che gli antichi inni lodano per aver saputo venire autonomamente all’esistenza. L’apparire di questo dio sarebbe infatti avvenuto sulla collina di Benben, creatasi proprio a seguito del ritrarsi per qualche attimo dell’inerme massa liquida primordiale. Proprio quest’ultima sembrerebbe così configurarsi come l’orizzonte stesso dell’insorgere dell’intero universo.

Un ruolo analogo, come recita il poema Enūma Elīsh databile al XII secolo avanti Cristo, è giocato dal caos anche nella mitologia mesopotamica. Essa radica l’insorgere del mondo in Apsû e Tiāmat, misteriose divinità delle origini evocate come insondabili abissi silenziosi in cui a regnare immobile era l’acqua, rispettivamente dolce e salata. Sotto l’apparente immobilità di queste acque, tuttavia, qualcosa si mosse: Apsû e Tiāmat «mescolarono le loro acque, fondendole in un tutt’uno (…) / allora nel loro seno furono creati gli dei». Il combinarsi delle acque dolci e delle acque salate dissolse di fatto la loro statica immobilità originaria, proiettandola in una dimensione dinamica del tutto intollerabile per Apsû. Egli, preoccupato che il clamore assordante dei nuovi dei disturbasse Tiāmat, nonostante l’esplicito dissenso di quest’ultima, decise di ucciderli tutti. Quando però Apsû si accinse a farlo, trovò sulla sua strada Ea: questo dio, nato da lui, lo uccise, generando poi il “re degli dei”: Marduk. Fu lui che, uccisa Tiāmat, trasse poi dal suo stesso corpo il cielo e la terra.

La centralità del caos appare evidente anche nella mitologia greca. Il poeta Esiodo infatti, cominciando a descrivere intorno al VII secolo avanti Cristo il prender forma del mondo nella sua Teogonia, non esita ad affermare che «all’inizio, per primo, fu il Caos». Un verso antichissimo che, nella sua sinteticità, evidenzia Caos come colui che sta all’inizio, e dunque “prima” di tutto quello che, proprio a partire da lui, sarebbe in seguito stato. E tuttavia, in modo non così difforme dalla mitologia mesopotamica, anche il questo caso Caos assume i tratti di una voragine profonda da cui l’intero reale insorge e dalla quale egli rischia di essere costantemente e incessantemente riprecipitato. La reticenza di Esiodo a connotare Caos, rifiutandogli persino un attributo specifico che ne connoti anche solo approssimativamente l’identità specifica – come invece accadrà per molte altre divinità di cui la Teogonia narrerà la nascita – lo destina così a rimanere per sempre avvolto nella sua stessa indefinitezza. Quella che, in fondo, fin dall’inizio, ne rimarca la peculiarità.

Anche se può apparire curioso, il caos trova un’eco per nulla irrilevante anche nel testo sacro ebraico che, nella sua ripresa cristiana, sarebbe divenuto noto come Libro di Genesi. Proprio l’inizio di questo libro, subito dopo aver affermato che «In principio Elohim creò il cielo e la terra», soggiunge immediatamente e non senza una certa enfasi: «la terra era deserto e solitudine, ed oscurità era sulla faccia dell’abisso». Ad essere rimessi così in gioco, sia pure in un contesto in cui si afferma Elohim come inizio di tutto, sono dunque una serie di termini il cui riecheggiare evoca quasi naturalmente la potenza assunta dal caos anche in questo racconto. Ad essere così affermato, prima che Elohim gli imprima gradualmente quella forma «molto buona» che lo sottrarrà all’oscurità abissale da cui esso dopo la stessa creazione di Dio risultava attanagliato, è dunque il carattere squisitamente caotico del profilarsi originario del reale stesso voluto e creato da Elohim stesso.


Piergiuseppe Bernardi – © raccontamiancora.it