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Che cos’è il mito?

Il senso profondo delle “storie” che hanno creato il nostro immaginario

Nel contesto contemporaneo la parola “mito” ha acquisito un’accezione molto particolare: essa indica infatti un personaggio famoso – attore, calciatore, atleta, cantante, scrittore… – segnalandone l’eccezionalità in relazione ad un’esistenza ordinaria che è invece quella propria di tutti i “comuni mortali”. Questa accezione della parola mito, pur evocandolo in qualche modo, rischia però di mettere in ombra il significato originario di essa. In origine infatti i miti erano semplicemente dei racconti che, tramandati di generazione in generazione, avevano come loro obiettivo ultimo quello di spiegare l’origine dell’universo, dei fenomeni naturali e dei comportamenti umani. Il loro obiettivo era dunque quello di trasmettere una sorta di “sapienza concreta” attraverso una forma comunicativa comprensibile da tutti e capace, al contempo, di veicolare valori e norme la cui recezione aveva come risultato un sensibile rafforzamento dell’identità collettiva di uno specifico tessuto sociale.

Per cercare di comprendere che cosa sia effettivamente il mito può essere utile pensarlo, utilizzando la riflessione elaborata a questo riguardo nell’antica Grecia, in contrapposizione al “logos”. Con quest’ultimo termine ad essere indicato è un approccio al mondo di tipo razionale, fondato dunque su un’analisi della realtà sviluppata attraverso una logica volta a verificare la coerenza del ragionamento che, in questa specifica prospettiva, viene via via sviluppato. Lo sforzo di comprensione della realtà messo in atto dal mito, del tutto estraneo alla dimensione logico-razionale, passa invece attraverso l’elaborazione di racconti mirati a spiegare in chiave simbolica i fenomeni e le esperienze umane. E, ben prima che nella Grecia antica a svilupparsi fosse il pensiero ispirato al “logos”, quello legato al mito aveva già raccontato e cantato ovviamente in una prospettiva completamente diversa, i temi della vita, della morte, dell’amore e, più globalmente, della natura umana.

Il mito nell’antica Grecia giocò un ruolo di primo piano, non solo influenzando profondamente la poesia e il teatro, ma anche venendo recepito dalla stessa filosofia al fine di esprimere concetti talora di primissima importanza. Basti qui citare, senza ovviamente entrare nel merito, l’uso che di esso venne fatto da Platone inserendo nelle sue opere quelli che sono conosciuti, per limitarsi agli esempi più noti, come il “mito della caverna”, il “mito dell’auriga”, o ancora il “mito di Er”. Sarebbe tuttavia miope pensare i racconti mitologici come un’espressione precipua ed esclusiva della cultura della Grecia antica. In realtà questi racconti appartengono alla storia degli uomini e alle donne di ogni tempo, cui la vita nella straordinaria varietà delle sue diverse sfaccettature sollecita continue risposte capaci di consentire loro di dare forma alle loro esistenze e di conferire ad esse uno scopo e un senso.

In questo senso il mito, non di rado integrato ed enfatizzato in una prospettiva religiosa, rappresenta certamente una costante di molte culture dell’antichità: certo, per limitarsi alle civiltà nelle quali affonda ancora le sue radici il nostro stesso mondo occidentale contemporaneo, di quella greca. Ma, prim’ancora, di quella mesopotamica e di quella egizia, senza trascurare poi quella ebraica, successivamente ereditata dal cristianesimo. Ovviamente, siccome ciascuna di queste culture è radicata in un preciso territorio ed è espressione di un tessuto sociale puntualmente connotato, anche i racconti mitologici cui ognuna di esse darà vita non potranno che apparire legati a intrecci e snodi che, almeno apparentemente, li faranno risultare profondamente differenti. Se tuttavia li si indagherà con maggior attenzione, ci si accorgerà ben presto come essi evidenziano affinità e convergenze che, senza annullare la loro specificità, li connotano come dettati da un identico bisogno antropologico, sia pur differentemente declinato.

Sarà proprio a partire dall’interagire di questa prossimità e di questa distanza che i racconti mitologici svolgeranno, nel contesto di ciascuna delle culture di cui essi sono una delle espressioni più dense e profonde, un ruolo assolutamente decisivo: essi infatti, proprio nel loro concentrarsi sui grandi interrogativi che da sempre gli uomini si pongono, pur articolandone poi le risposte in modo differente, di fatto costituiscono le basi dell’insorgere degli immaginari stessi in cui le diverse civiltà fondano la propria stessa identità e specificità, traducendola poi in relazioni sociali, sistemi politici, organizzazioni economiche, visioni culturali e artistiche. Insomma in tutto quello che è la vita individuale e sociale degli uomini e delle donne di ogni tempo. Ed è proprio questo ruolo decisivo svolto dai racconti mitici nel creare immaginari che impedisce loro di dissolversi col venir meno delle civiltà che essi hanno animato, per attraversare invece i millenni, permanendo attuali anche in epoche nelle quali la loro rilevanza apparentemente – ma solo apparentemente – sembra aver preso di peso.

Piergiuseppe Bernardi ©raccontamiancora